Da anni cerchiamo di smascherare la natura puramente ideologica delle prove INVALSI, che, ben lungi dal costituire un passaggio fondamentale per la valutazione del sistema scolastico italiano sono, invece, sciocco strumento di controllo, ulteriore balzello che studenti, insegnanti, famiglie debbono pagare ad una scuola sempre più burocratizzata, gerarchica, lontana dalla sua funzione specifica di istituzione che trasmette sapere e forma le giovani generazioni. In un mondo ideale i test di valutazione dovrebbero avere un unico scopo degno: il portar rimedio alle carenze, rafforzando gli anelli deboli del sistema. Nel mondo reale, nel paese tragicomico in cui viviamo le prove Invalsi sono soltanto uno strumento di pressione: non servono a niente, se non a far sentire il fiato del controllo ministeriale (fiato quanto mai fetido) sul collo di insegnanti e studenti. Che le prove Invalsi, così come sono, non servano a niente non lo diciamo soltanto noi: lo hanno detto gli esperti (Andrea Ichino, Daniele Checchi e Giorgio Vittadini) nominati dal precedente ministro dell’Istruzione, Gelmini, per predisporre un piano di intervento, nel dicembra 2009. I tecnici avevano evidenziato come una valutazione seria richiedesse di “istituire un corpo di somministratori esterni per le prove aggiuntive”, dato costoso, “ma strettamente necessario perché la valutazione sia attendibile”. Visto che il “corpo di somministratori” non c’è e gli insegnanti vengono tutti gli hanni infastiditi chiedendo loro di svolgere un compito non pertinente, se ne dovrebbe dedurre che le prove Invalsi non hanno un sufficiente grado di attendibilità e quindi non sono utili. L’inutilità dei test Invalsi si evince inoltre dalla premessa al Bilancio di previsione 2012 dell’Ente. Citiamo testualmente: da una parte “si assegnano continuamente all’Istituto nuovi e più impegnativi compiti e si intensificano quelli già esistenti”, dall’altra “non si è ancora trovato modo di creare le condizioni operative per poter consentire all’Istituto di poter funzionare almeno ad un livello minimale”. Quindi il Paese si trascina dal 1999 (che è l’anno in cui il CEDE, centro europeo dell’educazione viene trasformato nell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione, con il D.L. 258 del 20 luglio) un ente che a quasi quindici anni di distanza dalla sua creazione, brancola ancora nel buio e, secondo quanto appena citato, non è in grado di funzionare nemmeno “ad un livello minimale”. L’ultimo argomento contro le inutili e dannose prove ce lo fornisce, ancora una volta, l’Invalsi, che quest’anno ha fatto la “restituzione” alle scuole dei punteggi ottenuti nelle prove dello scorso anno al netto del “cheating”, che sarebbe una sorta di “indice di propensione alla copiatura”, ottenuto attraverso inutili, costosi, contestabili studi statistici. Nella convinzione che gli studenti possano copiare l’uno dall’altro o addirittura che gli insegnanti, invece di sorvegliare la correttezza delle prove, possano essi stessi suggerire ai propri studenti, i mai troppo lodati “tecnici” Invalsi hanno depurato le prove, abbassando i punteggi in base ad un marchingegno su cui potrete sapere di più (valutare il grado di stupidità dei nostri avversari non fa mai male) andando agli indirizzi segnalati nell’interessante e puntuale articolo di Mario Piemontese, che riportiamo qui
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